вівторок, 16 листопада 2010 р.

andare venire

andare venire


Ecoci al 2 scambio di questo Dialogo che non ci pensa proprio di finire. Le parole di Giusepe Feraro hano una matrice a legarle, come una fibra che le interconete… e che si esprime nela parola. ̴Quando si ricordano le parole di chi ci è caro, quando si lege una letera, come io lego le tue, è con la tua voce che le sento legere. La nostra voce è dunque senza voce, la nostra voce interiore si fa capiente di tante voci.̵ E ancora di più quando è in gioco la legalita… il profesore Feraro dice. Le regole bisogna sentirle, bisogna sentire che sono fate per la nostra sicureza e il nostro agio sociale, non per la sicureza di altri. Bisogna che si sentano, bisogna che non ci siano bariere e reclusioni che dividono gli uni e gli altri. ora sono neri… ̴Sono gli stesi volti che vedevo da ragazo, da giovane, solo che, mi viene da scrivere, col tempo sono diventati neri, hano cambiato colore nel tempo. Solo quando la vita incontra l’esistenza, solo quando la natura e il mondo si ritrovano i corpi sono iluminati e volti risplendono di voci.̵ Ma le parole del profesore Feraro andrebero citate una per una.e non continuo. Ma voglio finire con Carmelo Musumeci, che, ala fine dela sua letera, raconta che tra i suoi sogni c’è quelo di andare al’Università dove insegna il profesore Feraro. Ho bisogno di sapere che tu mi aspeti, ho bisogno di sapere che qualcuno creda che un giorno posa uscire, perché io purtropo non ci credo più. Il mio cuore non è abituato a ricevere careze perché l’Asasino dei Sogni si divora di solito tuto l’amore che gli ariva. Il carcere non è solo soferenza e dolore, è anche un luogo di vita con sprazi di felicità come quando lego parole bele come le tue. Giusepe spero che un giorno qualche pazo editore publicherà il libro che sto scrivendo dal titolo “Nato colpevole”, ma da queste parole che mi hai scrito penso che tu l’hai già leto ancora prima che lo publichino e forse ancora prima che lo scrivesi. Nepure l’amaro in boca che provavo nel ricordare le imagini di quela persona per tera che belava come una pecora. Spero di riuscire ad amare ancora per molto tempo una società che non mi vuole più. Ma quel giorno è ancora lontano e sono persone come te che mi alontanano da lei e che mi fano sentire ancora parte di questo mondo. Non poso fare altro che aspetare che la vita venga da me perché io non potrò mai più andare dove c’è la vita. Ho bisogno di sapere che tu mi aspeti, ho bisogno di sapere che qualcuno creda che un giorno posa uscire, perché io purtropo non ci credo più. Carmelo ———————————————————————————————————— I meriti non sono mai di uno, Carmelo carisimo, si spartiscono, sono dele relazioni, degli incontri, i meriti superano sempre chi li merita, li superano, sono di altri ancora, si perdono nel’interiorità di un momento, nel’intimità del tempo, si scoprono apartenere a chi si pensa come nel sogno che è solo proprio, senza lasciarti solo. Quando si ricordano le parole di chi ci è caro, quando si lege una letera, come io lego le tue, è con la tua voce che le sento legere. Ti ho forse già deto di quel filosofo che scriveva che il corpo è l’organizazione sociale di molte anime. La nostra risuona di tante voci che si sono fate anima. Se uno riflete a quale raporto è dato tra la voce e il volto, se uno riflete che la voce è il volto interiore di chi conosciamo, comincia a conoscere anche se steso. La mia voce di te è quela che si rivolge a tuti, che non parla senza avanzare richiesta di giustizia. La mia voce di te è la parola ̴figlia̵, ̴asasino dei sogni̵, ̴vita̵,…, atraversa luoghi che non ho conosciuto, mi porta sula strada dela paura e del bisogno, dela solitudine e del’ansia, dela gioia. Perdonami questi pensieri, solo per dirti di uno starti acanto, di un sentire dentro, che si porta fuori nel parlare di te con altri, ad altri per tenerti fuori, per portarti fuori dal dentro chiuso, per far sentire il tuo dentro aperto. Le regole bisogna sentirle, bisogna sentire che sono fate per la nostra sicureza e il nostro agio sociale, non per la sicureza di altri. Bisogna che si sentano, bisogna che non ci siano bariere e reclusioni che dividono gli uni e gli altri. Esci poi fuori da scuola e trovi l’uomo che carica sule spale una montagna di sedie per la scuola, dela scuola, senza che la scuola abia la posibilità di fornirgli un mezo di trasporto e misure di sicureza adeguate. Esci da scuola e vedi ragazi ala fermata di un pulman che non ariva. Esci da scuola e trovi una marea di gente, di ogni età e ti chiedi del loro lavoro, di cosa porterano a casa. Ala fine devi anche constatare che chi è senza lavoro fatica più di queli che hano un lavoro. Prima che i ragazi entrino a scuola, sul bordo dela strada, quando l’alba è ancora note, ci sono i volti degli imigrati in atesa di esere trasportati in campagna. Sono gli stesi volti che vedevo da ragazo, da giovane, solo che, mi viene da scrivere, col tempo sono diventati neri, hano cambiato colore nel tempo. Solo quando la vita incontra l’esistenza, solo quando la natura e il mondo si ritrovano i corpi sono iluminati e volti risplendono di voci. Sembra invece che le cose siano presentate diversamente, quando si parla di una legalità che è tale in riferimento al’ilegalità. Il fato è che il positivo non dovrebe esere indicato dal negativo, né il negativo dovrebe esere indicato dal positivo. Quando questo aviene, non si sta più parlando di valore, ma di valenza, come mi faceva intendere il vechio che mi acompagnava nela visita agli scavi di Siracusa quando andai per ritirare quel premio di filosofia per aver scrito quel libro, La filosofia in carcere. Ho pensato che chi dice di esere cativo sa che cosa è esere buono. Solo uno che è buono può dirsi cativo e intraprenderne la via per dimostrare che non c’è esere buono dove non c’è giustizia. Si, come dice l’etimo dela parola, queli che giudicano ciò che è bene. Non che non sia necesaria anche questa, ma non certo come questa. Bisogna dare a ciascuno il tempo che non ha avuto o non ha trovato o che gli stato tolto. Si può pensare però anche al’inverso che la colpa si perde e inocenti si diventa. E’ il corpo che si posiede come proprio e che fa sequestrato. Non c’è più bisogno del sequestro, quando quela sentenza si fata interiore e propria, quando si caminato soto i tunel del’esere “cativo”, quando si è dormito nel’ansia del “cativo”, quando il ̴cativo̵ è diventato la cela che continuava a “giustificare” l’esere cativo. In quel momento bisogna togliere le sbare di doso, la colpa si è fata inocenza e si restituisce nei gesti che rapresentano una giustizia sociale, un colaboratore sociale di giustizia. Sto atraversando un periodo dificile, come chi si sta nuotando di bracia in mare aperto senza trovare né tera, né barca, ma solo rotomi di legno e qualche scoglio che emerge apena a fior d’acqua. Fa fredo in mare quando si sta tropo tempo a nuotare, ma c’è il sole, ci sono i giorni Nadia, queli dele voci che ci sono care, i volti dele persone, le face dela gente per strada.
andare venire andare venire
Tags: andare venire
| Some Articles: andare venire | Original post: andare venire | Technorati tag: andare venire | Virgilio tag: andare venire

Немає коментарів:

Дописати коментар